21.2.14

[STEFANO BOERI ARCHITETTI]]

Stefano Boeri, architetto e urbanista, è professore associato di progettazione urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Genova e guest professor al Berlage Institute di Amsterdam. Autore del manifesto sull' ambiente la sostenibilità scritto con l'economista Jeremy Rifkin.

Ambiente e Sostenibilità
Oggi convivono tre grandi retoriche sul tema della sostenibilità, tutte mirate a proporre una sorta di riconciliazione tra natura e città. Una prima retorica, di tipo tecnocratico, ci invita a credere che, potenziando e diffondendo ovunque i dispositivi di captazione e accumulo delle energie rinnovabili, sia possibile raggiungere una sorta di compensazione tra natura e sfera antropica: come se la gigantesca orma dell’uomo sulla natura potesse farsi più lieve, grazie a un formidabile sforzo tecnologico che riduce al minimo i consumi energetici. Una seconda retorica, invece, propone una riconciliazione fondata sull’idea di estensione delle pratiche di coltivazione: come se l’agricoltura, cioè il prendersi cura del terreno a fini produttivi, potesse diventare una grande panacea dei mali dell’urbanizzazione. Da qui, l’ipotesi di un allargamento delle aree coltivabili sia all’esterno sia all’interno delle nostre città. La terza retorica, infine, riconosce alla natura un grado assoluto di autonomia rispetto alla sfera antropica e cerca una riconciliazione basata su un principio di coesistenza: la città deve saper circoscrivere il proprio terreno e rispettare zone di naturalità pura, dove molteplici specie vegetali e animali possano crescere e svilupparsi in totale autonomia, fuori dal controllo umano. Le tre retoriche hanno avuto un grande peso nell’architettura. Quella tecnocratica è stata rilanciata qualche anno fa da un libro scritto da un architetto, William McDonough, e da un biochimico, Michael Braungart, dal titolo Cradle to Cradle. Un libro che negli USA ha avuto un grande successo, nel quale si propone di estendere all’edilizia e all’urbanistica il principio della metabolizzazione (e del riciclo) di tutti gli artefatti umani, ispirandosi all’idea che le architetture possano funzionare come piante, come alberi, e dunque siano in grado di assorbire l’energia dal sole, dalla terra e di consumarla senza produrre residui. La seconda retorica, quella agro-produttiva, ha radici anche nel pensiero dell’architettura radicale, e in particolare nell’opera di Andrea Branzi: nel suo lavoro è sempre stata presente una riflessione sulla compatibilità tra artificio urbano e dimensione vegetale: da No-Stop-City (1969) al progetto teorico di Agronica (1995). Questa retorica promuove la valorizzazione dell’agricoltura di prossimità e lo sfruttamento di ogni superficie urbana disponibile a verde progettato. La natura viene coltivata in forma di giardino, di muro verticale, di bosco, di terreno agricolo, nella prospettiva di demineralizzare lo spazio urbano, trasformandolo in una superficie vegetale, verticale e orizzontale, continua.
La terza retorica è quella più estrema, più spigolosa, ma anche la più interessante. Nega l’artificio e riconosce alla natura un’autonomia assoluta, tale da non poter essere copiata, coltivata o riprodotta. La natura è intesa come una sfera animale e vegetale indipendente, su cui non si può intervenire. Da qui l’idea di Terzo Paesaggio sviluppata dal paesaggista Gilles Clément, che legge in quel vasto insieme di spazi urbani abbandonati dall’uomo e riassorbiti dalla natura (binari, infrastrutture, aree industriali, capannoni ricoperti da rovi, sterpaglie, verde selvatico e residuale, erbacce) i germi di una nuova spazialità, imprevedibile e non condizionabile dalla progettazione urbana. La cosa che mi interessa di più di quest’ultima retorica è che pone finalmente, in modo estremo, la questione di un’etica urbana non antropocentrica, di una disciplina che arrivi a considerare, anche dentro il territorio urbanizzato, zone di totale autonomia della natura.” (Stefano Boeri)

La foresta verticale - 2009/2014



[CENTRALE GEOTERMICA ENEL. Bagnore 3]

Con Stefano Boeri; Lucina Caravaggi
Località: Santa Fiora (GR)
Committente: Enel - Erga
Progetto:1997
Realizzazione: 1999





Nel 1997 Stefano Boeri viene incaricato dall'Enel-Erga di progettare a Santa Fiora sul monte Amiata l'inserimento nel paesaggio di una centrale geotermica già esistente. L'idea consiste nel ripensare la centrale come una grande "machine" nel paesaggio, con la copertura che la avvolge come un guscio protettivo: un segno preciso, sintetico, formale che si integra con la pendenza del terreno creando un corpo unico tra il terreno stesso e la copertura.
Il progetto, realizzato da Stefano Boeri, ripropone il tema dell'inserimento, in un particolare contesto paesistico di pregio, di strutture industriali indispensabili e raramente integrate nel territorio.


La committenza aveva chiesto di nascondere l’impianto all’interno di scatoloni industriali, cercando di camuffare la centrale. La scelta è stata invece quella di dare massima visibilità all’impianto, trasformando una serie di ingranaggi anonimi e impresentabili (i macchinari e le torri di raffreddamento) in una grande macchina unitaria.
La struttura architettonica della centrale è formata da 17 travi cor-ten (acciaio brevettato dalla United States Steel Corporation nel 1933, dotato di buona resistenza alla corrosione ed elevata resistenza meccanica) di lunghezza variabile tra i 55 e gli 89 metri, mentre due pannelli d'acciaio sono collocati sul lato corto dell'oggetto


Un'emittente radiofonica locale ha proposto di realizzare sotto la centrale un concerto rock, a testimonianza di come l'architettura possa talvolta diventare un simbolo e un riferimento per le comunità locali



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